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Soglia importo minimo dichiarazione di fallimento e istruttoria prefallimentare

Con l’ordinanza n. 17216/21, depositata il 16 giugno 2021 la Suprema Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Napoli che rigettava il reclamo interposto da una S.r.l. per inattendibilità dei bilanci e omessa tenuta delle scritture contabili avverso la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento.
La società (fallita) ricorre in Cassazione, lamentando il fatto che il fallimento sia stato dichiarato nonostante il debito della società fosse inferiore alla soglia minima di 30.000 euro prevista dall’art. 15 l.fall.
Il ricorso è fondato, in quanto la Corte d’Appello avrebbe erroneamente acquisito unicamente il bilancio di liquidazione della società nel quale i debiti risultavano esigibili entro 12 mesi. La Corte di Cassazione infatti afferma che per accertare il superamento della soglia ostativa alla dichiarazione di fallimento, si deve far riferimento al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare e accertati alla data in cui il Tribunale decide sull’istanza di fallimento. Il mancato superamento di tale limite non è oggetto di un onere probatorio a carico della società fallenda, ma deve essere riscontrato d’ufficio dal Tribunale sulla base del contenuto degli atti dell’istruttoria prefallimentare, con la conseguenza che ogni eventuale incertezza in merito al ricorrere di tale condizione impedisce la dichiarazione di fallimento. Poiché il debito contratto dalla società ammontava a poco più di 3.500 euro, pertanto, doveva escludersi che nel corso dell’istruttoria prefallimentare fosse emersa la prova dell’esistenza di debiti scaduti e non pagati per un ammontare superiore a 30.000 euro, né tale prova poteva essere tratta da circostanze emerse in data successiva alla sentenza dichiarativa del fallimento.
Per questi motivi, la Corte cassa la sentenza impugnata e revoca il fallimento della società.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Di seguito il contenuto integrale dell’ordinanza.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, 24 febbraio – 16 giugno 2021, n. 17216
Presidente Cristiano – Relatore Caradonna

Rilevato che:

  1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 23.12.2016, ha respinto il reclamo L. Fall., ex art. 18 proposto da (omissis) s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale di Benevento dichiarativa del suo fallimento.
    La corte del merito ha, in primo luogo, escluso che C. , non costituitasi nel procedimento prefallimentare, avesse fornito prova di non essere assoggettabile a fallimento ai sensi della L. Fall., art. 1, atteso che i bilanci dalla stessa depositati risultavano inattendibili, sulla scorta di plurimi riscontri, e che inoltre la società, dopo essersi posta in liquidazione nel 2013, non aveva più tenuto le scritture contabili ed aveva omesso di presentare le dichiarazioni obbligatorie degli anni di imposta 2014 – 2015; quindi, premesso che non le era precluso di compiere l’accertamento omesso dal tribunale in ordine al superamento delle soglia minima di indebitamento di cui alla L. Fall., art. 15, la corte ha osservato che, benché il credito del creditore istante ammontasse a soli Euro 3.957,50, doveva ritenersi provato, anche all’esito dell’ulteriore istruttoria svolta in sede di reclamo, che i debiti entro i dodici mesi, per complessivi Euro 375.784, esposti nel bilancio dell’esercizio 2013 di (omissis) (prodotto dal creditore nel procedimento prefallimentare), fossero scaduti quantomeno in parte, avendo il curatore dato atto nella sua relazione che quello ivi emergente, di Euro 35.675, 34, nei confronti del creditore (omissis) s.r.l., era stato riportato invariato anche nel bilancio del 2014 e nel libro giornale del 2015.
    (omissis) s.r.l., in liquidazione, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi.
    Il Fallimento e il creditore istante non hanno svolto difese.

Considerato che:

  1. Con il primo motivo (omissis) lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 1, comma 2, per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto che difettasse la prova dell’esistenza dei presupposti dimensionali per il suo esonero dal fallimento.
  2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 15, u.c., lamentando che il fallimento sia stato dichiarato nonostante il credito dell’istante fosse inferiore alla soglia minima di Euro 30.000 indicata dalla norma; rileva, al riguardo che la corte del merito ha, contraddittoriamente, ritenuto inattendibili i bilanci ai fini della prova richiesta ai sensi della L. Fall., art. 1, per poi tener conto dei debiti in essi riportati, peraltro senza considerare che quelli esposti nell’esercizio 2013 erano indicati come “esigibili – entro (o) oltre – l’esercizio successivo”, sicché non potevano considerarsi scaduti e non pagati.
  3. Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 5 e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello omesso ogni indagine in ordine alla sussistenza dello stato di insolvenza.
  4. Stante la sua priorità sul piano logico giuridico, e in ossequio al principio fondato sulla necessità di ricercare e indicare la “ragione più liquida” (Cass. Sez. U., 18 novembre 2015, n. 23542; Cass., Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9936), va data precedenza all’esame del secondo motivo, che è fondato e deve essere accolto.
    4.1. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, per accertare il superamento della soglia ostativa alla dichiarazione di fallimento di cui alla L. Fall., art. 15, u.c., si deve avere riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare (Cass., 14 novembre 2017, n. 26926; Cass., 19 luglio 2016, n. 14727) e accertati alla data in cui il tribunale decide sull’istanza di fallimento (Cass., 27 maggio 2015, n. 10952).
    La norma, espressione di un intento deflattivo, è stata dettata dal legislatore al fine di esentare dal concorso le crisi d’impresa di modeste dimensioni oggettive: l’esigenza che alla data del fallimento consti un’esposizione debitoria di almeno 30.000 Euro si configura, infatti, alla stregua di una condizione per la dichiarazione del fallimento e non di un fatto impeditivo, sicché il mancato superamento di tale limite non è oggetto di un onere probatorio a carico del fallendo, a mente dell’art. 2697 c.c., comma 2, ma deve essere riscontrato d’ufficio dal tribunale sulla base del complessivo contenuto degli atti dell’istruttoria prefallimentare. Ne consegue che ogni eventuale incertezza in merito al ricorrere di questa condizione, non risolvibile sulla base dagli atti dell’istruttoria prefallimentare, impedisce la declaratoria di fallimento (Cass., 25 giugno 2018, n. 16683).
    4.2 La corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati.
    In sede prefallimentare era stato, infatti, acquisito unicamente il bilancio di liquidazione della società, relativo all’esercizio 2013, nel quale – come accertato dallo stesso giudice del merito – i debiti appostati risultavano esigibili entro dodici mesi. Poiché il debito contratto da (omissis) nei confronti del creditore istante ammontava a poco più di 3.500 Euro, doveva dunque escludersi che nel corso dell’istruttoria prefallimentare fosse emersa la prova dell’esistenza di debiti scaduti e non pagati dalla società per un ammontare superiore ai 30.000 Euro. Nè tale prova poteva essere tratta, secondo quanto erroneamente ritenuto dai giudici del reclamo, da circostanze pacificamente emerse solo in data successiva alla sentenza dichiarativa, in quanto accertate dal curatore.
    Pertanto, in difetto della condizione di cui alla L. Fall., art. 15, u.c., il fallimento di (omissis) in liquidazione non poteva essere dichiarato.
    Accolto il secondo motivo del ricorso, e dichiarati assorbiti il primo e il terzo, la sentenza impugnata va cassata.
    Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito, ex art. 384 c.p.c.; va quindi accolto il reclamo e, per l’effetto, va revocato il fallimento della società (omissis) s.r.l., in liquidazione, con sede in (omissis) , dichiarato con sentenza del Tribunale di Benevento n. 74/2016 del 15 luglio 2016.
    Tenuto conto che la ricorrente ha ingiustificatamente omesso di difendersi nel corso dell’istruttoria prefallimentare e che nè il creditore istante (non costituitosi neppure in sede di reclamo), nè il curatore hanno insistito per ottenere il rigetto del ricorso, le spese del giudizio di merito e del presente giudizio di legittimità vanno dichiarate interamente compensate fra le parti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti il primo e il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, in accoglimento del reclamo proposto da (omissis) s.r.l. in liquidazione, revoca il fallimento della società dichiarato con sentenza del Tribunale di Benevento del 15 luglio 2016; compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio di merito e di questo giudizio di legittimità.

Il piano del consumatore non prevede limiti di tempo

Con la Sentenza Cassazione civile sez. I, 28/10/2019, n.27544, la Suprema Corte ha stabilito che “È omologabile, in assenza di specifica disposizione di legge sul termine massimo per il compimento dei pagamenti, la proposta di piano del consumatore per la soluzione della crisi da sovraindebitamento che preveda una dilazione dei pagamenti di significativa durata, anche superiore ai cinque o sette anni, non potendosi escludere che gli interessi dei creditori risultino meglio tutelati da un piano siffatto in quanto la valutazione di convenienza è pur sempre riservata ai creditori, cui deve essere assicurata la possibilità di esprimersi sulla proposta, anche alla luce del principio di origine comunitaria della cd. “second chance” in favore degli imprenditori, ispiratore della procedura. (Nella specie, il Tribunale, essendo stato proposto dal debitore un piano con dilazione dei pagamenti fino a quasi dodici anni, aveva ritenuto lo stesso non omologabile solo perché di eccessiva durata).”